Le terapie tradizionali per la cura dei denti mettono in conto che il tessuto dentale, col tempo e a furia di lavorarci, possa compromettersi. A maggior ragione se indossiamo apparecchi o intraprendiamo percorsi come la ricostruzione dei denti, che prevedono spesso corpi estranei a supporto della dentatura. Per poter ridurre al minimo queste “controindicazioni” c’è l’ozonoterapia.
Cos’è l’ozonoterapia?
Introdotta in ambito odontoiatrico già negli anni Quaranta in Francia, l’ozonoterapia comincia a prendere ufficialmente piede negli anni Ottanta in Inghilterra, grazie a un professore del Royal London Hospital Medical College. Egli, infatti, dimostrò che era possibile ricostruire le lesioni dentali provocate da carie esponendo la bocca dei suoi pazienti ad alte concentrazioni di ozono. Appurata la veridicità di questa affermazione, col tempo si è cercato di perfezionare questo meccanismo. Progettando apparecchiature in grado di immettere una quantità di ozono specifica sulla parte da trattare, senza dimenticare mai la sicurezza del paziente.
Come agisce l’ozono sui denti?
L’ozonoterapia dentale, come è stato sperimentato, funziona soprattutto nella cura delle carie. Questo perché alcuni studi hanno dimostrato che un’alta concentrazione di ozono localizzato è in grado di distruggere in poco tempo funghi, batteri e virus, di eliminare le proteine acide e di ricostruire progressivamente smalto e dentina.
Come funziona l’ozonoterapia dentale?
Il trattamento con ozonoterapia oltre a essere particolarmente efficace, soprattutto in presenza di carie avanzate, è anche molto rapido. Si stima che una seduta duri all’incirca 60 secondi, durante la quale si utilizza un’apparecchiatura in grado di irrorare sulla superficie dentale interessata la quantità di ozono che occorre per ricostruire il dente. Dopo l’applicazione dell’ozono, si procede con l’applicazione di una sostanza rimineralizzante, per rafforzare la superficie dentale. Niente dolore, niente anestesia, niente trattamenti invasivi. Circa due mesi dopo, il paziente è richiamato a un controllo di routine. Solo allora si può optare per una seconda seduta o addirittura monitorare il decorso della patologia. Nel primo caso, si effettua un’ulteriore visita dopo altri due mesi dall’intervento.